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Commento di: GIUSEPPE Visitatore
Commento di: admin Membro
La ringrazio per la domanda molto interessante e stimolante. Mi sono interessato alle pratiche utilizzate nel buddismo zen grazie all’ACT, una terapia che ha ampliato e modificato la terapia cognitivo comportamentale implementando tra l’altro l’utilizzo della presenza mentale.
La presenza mentale non è sinonimo di repressione o negazione, dovrebbe invece essere il contrario: consapevolezza di quanto accade in un particolare momento fuori e dentro di noi senza voler reprimere o eliminare alcuna percezione, pensiero o emozione.
Senza dubbio nella presenza mentale, rimanendo sul presente, si lasciano scorrere emozioni, pensieri, sensazioni ma ci si dà la possibilità di sperimentare tutto senza attaccarsi a nulla.
Possiamo immaginare la presenza mentale come lo stare in riva a un fiume a osservare tutto quello che passa, mentre nella repressione proviamo a costruire una diga che blocchi quel fiume e nella negazione proviamo a convincerci che quel fiume non ci sia. Si tratta di atteggiamenti molto diversi.
Se pratichiamo l’accettazione senza dubbio sarà più difficile provare rabbia visto che la rabbia parte dalla convinzione che “le cose non vanno come dovrebbero". Anche in questo caso non si tratterà però di reprimerla ma di una conseguenza del nostro atteggiamento.
A livello concreto è piuttosto difficile riuscire ad accettare tutto, inoltre si tratta di un atteggiamento molto distante dalla nostra cultura che, al contrario, dà molta importanza a ciò che possediamo e a quante cose riusciamo a fare nel corso di una giornata.
Possiamo comunque trarre beneficio da un atteggiamento di presenza mentale e di accettazione al fine di essere disposti all’esperienza della rabbia trasformandola in determinazione e atteggiamento assertivo.
La rabbia infatti è un’emozione che contiene molta energia che, se canalizzata ci permette di essere più forti nel raggiungimento dei nostri obiettivi.
Senza dubbio la soluzione del buddismo zen classico è più radicale per noi occidentali. In questa visione infatti l’obiettivo stesso perde di importanza perchè può distogliermi dal momento presente, la rabbia in questo caso, potrà semplicemente essere lasciata scivolare via, come lasciamo scivolare via l’acqua del corso di un fiume.
Si tratta di una strada più distante dal nostro stile di vita e dalla nostra cultura che richiede molta pratica, convinzione e autenticità.
Cordiali saluti
Dott. Enrico Parpaglione
Queste sue parole ci fanno capire come siano psicologicamente pericolose (in quanoto nichiliste), quelle pratiche (difuse soprattutto dagli inseignamenti di Thich Nhat Han e dei quattro fondamenti della presenza mentale), che invece propongono al praticante di reprimere le sensazioni e gli oggetti mentali, rabbia compresa. Sarebbe interessante un suo parere su queste pratiche tipiche di certo buddismo…