Il senso del sacrificio di sè
“Marta da anni dedica la sua vita a rendere felici parenti e amici, fa per loro continui favori, cene, regali e non vuole nulla in cambio. Si sentirebbe a disagio a chiedere qualcosa per sè! C’è chi finisce per approfittarne. A volte Marta si stanca, si sente sola e arrabbiata, si sente sfruttata e vorrebbe cancellare quelle persone dalla sua vita.”
Oggi parleremo di persone che hanno sviluppato lo schema disfunzionale del “sacrificio di sè”.
Queste persone si preoccupano costantemente dei bisogni delle altre persone dimenticando i propri, si sentono infatti responsabili in modo eccessivo del benessere, della salute e del comportamento degli altri.
Preoccuparsi per problemi altrui è una pratica che di per sè può essere positiva ed è socialmente accettata e premiata, tuttavia, caricarsi in modo eccessivo delle difficoltà degli altri, a lungo termine diventa logorante.
Questo accade in particolare se chi si dedica e si preoccupa per altri trascura gravemente se stesso.
Il risultato è spesso un’accentuata vulnerabilità ad ansia, depressione, e problemi di tipo psicosomatico come mal di testa, disturbi gastrointestinali e affaticamento.
Ma quali sono le radici di un cosi forte “senso del sacrificio”? Con molta probabilità coloro che hanno questa caratteristica sono bambini diventati adulti preocemente, che troppo presto sono cresciuti per soccorrere e accudire figure genitoriali in difficoltà o eccessivamente richiedenti, spesso anche poco vicine affettivamente.
Se il bambino ha sperimentato che per essere amato deve accondiscendere ai bisogni dell’altro rinunciando ai propri, da adulto instaurerà relazioni nelle quali faticherà a bilanciare quanto dà in rapporto a quanto riceve dagli altri.
Questo tipo di esperienza può dar luogo a risposte molto diverse nell’adulto:
- dare moltissimo agli altri senza volere nulla in cambio;
- evitare le situazioni di “scambio” con le altre persone;
- dare pochissimo agli altri.
Possiamo dire che nel primo caso la persona si arrende allo schema del “sacrificio di sè”, nel secondo fa di tutto per evitarlo, nel terzo invece esagera all’opposto per contrastarlo.
Quando ci si trova di fronte ad una persona che ha questo tipo di schema profondo non è sufficiente un lavoro mirato alla riduzione dei sintomi (ansia, depressione, disturbi psicosomatici).
Può essere utile invece un approccio integrato basato sulla Schema Therapy di Young che metta insieme aspetti psicodinamici, gestalt, cognitivo – comportamentali e che sia mirato al riconoscimento e alla migliore gestione dello schema da parte del paziente.
Dott. Enrico Parpaglione psicologo a Torino
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