Le trappola dell' iperprotezione (2° parte)
Perchè avviene
I genitori possono assumere uno stile educativo iperprotettivo per motivi diversi derivanti dalla propria educazione o da esperienze di vita.
A volte l’iperprotezione può essere dovuta a un tentativo di essere un genitore perfetto come compensazione di carenze vissute nella propria infanzia.
Se ad es. il genitore era stato maltrattato da piccolo, (in alcuni casi) potrà sentire un senso di responsabilità molto forte nei confronti di suo figlio che si manifesterà sottoforma di iperprotezione.
Anche esperienze del genitore come ad es. la perdita di un fratello possono portarlo a pensare che il figlio debba essere protetto e controllato costantemente.
Altre volte i genitori iperprotettivi sono stati anch'essi allevati con questo stile educativo e lo ripetono con i figli.
Anche un bambino di carattere timido e pauroso può favorire un atteggiamento iperprotettivo, preoccupato o controllante da parte del genitore. Questi atteggiamenti andranno nel tempo ad aumentare l’insicurezza del bambino.
L’iperprotezione in realtà nasce da un bisogno dei genitori: ridurre il proprio timore che gli accada qualcosa, soddisfare il proprio bisogno di controllo o sentire di essere stati genitori ideali.
Il bambino, infatti, ha certamente bisogno di protezione ma allo stesso tempo gli si deve permettere di esplorare l’ambiente in modo autonomo pur facendo affidamento sulla presenza del genitore.
Come si manifesta
L’iperprotezione si può manifestare sottoforma di preoccupazione da parte del genitore circa la possibilità che accada qualcosa di negativo al bambino.
Il genitore percepisce il mondo come pauroso e pericoloso e tende ad allertarsi non appena il figlio si allontana o fa qualcosa da solo.
La paura si trasmette al bambino attraverso la percezione dell’ansia del genitore, attraverso la sua presenza costante nelle situazioni nuove e attraverso frasi come “fai attenzione! Non allontanarti”.
In questa forma di iperprotezione il bambino sviluppa un senso di vulnerabilità che può riguardare l’aspettativa che l’ambiente sia pericoloso o che i pericoli possano arrivare dal proprio corpo (malattie, problemi fisici ecc..). Il bambino può inoltre sviluppare una fobia per tutto ciò che è nuovo.
Se dovessimo trasformare quanto detto in una convinzione potremmo dire: “l’ambiente è pericoloso, per questo i miei genitori mi stanno sempre vicino, da solo non saprei affrontare e superare questi pericoli”.
Accanto a questa prima forma di iperprotezione, ne abbiamo un’altra che nasce invece dal bisogno del genitore di proteggere il bambino da ogni frustrazione.
In questo caso il genitore si sostituirà al bambino (e poi all’adolescente) nella risoluzione dei problemi e si impegnerà a non fargli provare emozioni spiacevoli legate agli insuccessi e alle difficoltà.
Il bambino apprenderà la dipendenza dagli altri e si aspetterà un costante sostegno e aiuto dagli altri ogni volta che si troverà in difficoltà. Inizierà a percepirsi come incapace di affrontare i problemi da solo.
Proviamo anche in questo caso a trasformare quanto detto in una convinzione: “i miei mi stanno sempre vicino, senza di loro non potrei risolvere i problemi, sono fragile e incapace”.
Un’ultima forma di iperprotezione è più legata al controllo e a un atteggiamento colpevolizzante e invischiante da parte del genitore.
In questo caso il genitore ha bisogno di controllare la vita del figlio in ogni suo aspetto, spesso perchè è il genitore stesso a sentirsi bisognoso del figlio.
A quest’ultimo viene dato un amore condizionato all’accettazione del controllo.
Il genitore tende ad essere eccessivamente presente nella vita e nelle scelte del figlio non permettendogli di maturare e differenziarsi secondo le sue peculiari caratteristiche.
Questo atteggiamento porta il figlio ad assumere un atteggiamento passivo di non scelta, di confusione e dubbi circa le proprie preferenze oltre a un’attenzione eccessiva al pensiero e agli stati d’animo del genitore.
Una convinzione che potrebbe rappresentare quanto detto è: “Devo chiedere consiglio ai miei genitori per ogni cosa che penso e faccio, altrimenti farei loro del male”.
Dott. Enrico Parpaglione psicologo a Torino
Concordo con Lei dottore. Stamattina è accaduta una cosa strana. Attendevo l’arrivo del veterinario di fronte all’ambulatorio. Ho un cagnetto anziano malato dentro il borsone apposito, spunta il suo musetto. Passa una donna e suo figlio (7 anni apparente età maschio). Il bambino mi chiede se ciò che è nel borsone è un cane. Sollevo lo sguardo dallo smarthphone e rispondo: No è un gatto, anzi un alieno. Ovvio che sono ironica. La madre mi rimprovera perché devo capire che il bambino sta scherzando, è solo un bambino! Faccio osservare alla signora madre che anche la mia era una battuta, priva di parolacce, ironica: il mio cane in questo momento è un alieno in quanto è malato e deve sostare nel borsone. La signora madre mi guarda come se avessi detto delle mostruosità e tira via il bambino: Vieni! Lascia perdere. Andiamo. L’episodio mi ha lasciato un vuoto e un senso di frustrazione. Oggi se si parla ad un bambino cosa si deve dire? Una madre deve educare il figlio maschio con il senso di irreale contesto logico-grammaticale-oggettivo? Saper riconoscere la sfumatura di un discorso, il contesto, l’oggetto di esso mi pare importante. Ho avuto così la certezza che attualmente le madri mettono al mondo fisicamente i figli ma non li sanno svezzare. Rimangono come gli uomini attuali agli stadi di una infanzia infelice e mutila.