Marta è impiegata da ormai 10 anni in un’azienda tessile, svolge un lavoro ripetitivo e non si sente valorizzata.
Sono ormai diversi anni che associa il suo lavoro in azienda alla sensazione di essere chiusa in una gabbia: desidera cambiare ma si sente troppo fragile per provarci.
Marta ha infine rinunciato all’idea di cambiare lavoro e, nel corso della giornata, si lamenta spesso con le sue colleghe.
Gabriele non riesce a superare un esame e si è convinto che sia troppo difficile per le sue capacità.
Nonostante gli manchino pochi esami alla laurea, sta pensando seriamente di lasciare l'università.
Pensa che sia inutile provare a studiare per l’esame o confrontarsi con altri studenti che lo hanno superato.
Quando incontra i suoi compagni di corso è solito lamentarsi per la sua situazione ed esprimere loro la sua rassegnazione.
Queste due storie hanno in comune la vittimizzazione di sè e la conseguente rinuncia della ricerca di una soluzione ai propri problemi.
In entrambi i casi, le persone vivono in modo passivo l’esperienza di lavoro o studio e preferiscono sfogare la propria frustrazione attraverso la lamentela piuttosto che domandarsi quali risorse possono attivare per tirarsi fuori dalle difficoltà.
Quando pensiamo di essere vittime delle situazioni che stiamo vivendo stiamo di fatto attribuendo i nostri guai e il nostro malessere quasi esclusivamente ad eventi esterni.
Questi eventi esterni (o persone in alcuni casi) sono visti come inevitabili, incontrollabili, soverchianti.
A ciò si abbina una visione di noi stessi come incapaci, limitati, fragili, deboli, stanchi, comunque impossibilitati ad affrontare gli eventi esterni.
Chi ha questa visione di sè, è probabile che si lamenti sia con se stesso che con gli altri per la sua situazione.
La lamentela può generare negli altri reazioni differenti: fastidio ed evitamento, oppure compassione, pena.
Talvolta chi si lamenta finisce per ritrovarsi solo, poichè le sue lamentele risultano a lungo termine fastidiose per i colleghi o gli amici.
Altre volte, chi si lamenta ottiene attenzioni particolari da persone che si sostituiscono a lui nello svolgimento di mansioni che non ama svolgere o che ascoltano le sue lamentele consolandolo.
In entrambi i casi la persona che si lamenta finirà per diventare più debole: usando l’altro come stampella per ridurre il proprio disagio imparerà infatti ad aver bisogno degli altri per stare bene.
L’attenzione data alle lamentele farà inoltre sì che la persona le produca con maggiore frequenza finendo per bloccare qualunque azione positiva orientata al cambiamento.
Dott. Enrico Parpaglione psicologo a Torino
Salve,
volevo rispondere alla questione. Sì, l’articolo parla chiaro e focalizza sia la causa che la possibile conseguenza. E’ da notare come, pero’, la questione vada presa in relazione al problema che realmente si pone dinanzi. Ad esempio, spesso il continuo lamentarsi da parte di un lavoratore si ha quando nessuno lo ascolta, nessuno gli garantisce i suoi diritti e, mentre gli altri nn se ne curano perchè si fanno sottomettere, egli si sente stretto e fa questo anche per attirare le attenzioni. Spesso è a causa della società malata come la nostra che si finisce per sentirsi vittima. Condividete con me questo, in parte o in tutto?